30/03/2015
Recensioni-Teatro alla Scala
Spettacolo della Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala
Teatro alla Scala
Sul palco del Teatro alla Scala la Scuola di Ballo diretta dal Mº Frédéric Olivieri presenta lo spettacolo di primavera, prima degli esami di passaggio anno e di diploma che avverranno come di consueto a fine maggio. Il programma è stato denso e impegnativo. Nella
Présentation ideata dallo stesso Mº Olivieri hanno partecipato tutti gli allievi della Scuola di Ballo. Le note barocche di Bach (
Concerto per due violini in re minore), nei loro contrappunti, sono state perfette per le legazioni degli allievi, organizzate come una sequenza di esercizi in centro dai tendus ai grandi salti e virtuosismi per i più grandi (tours en l’air e giri alla seconda per i ragazzi e fouettés en tournant e all’italiana per le ragazze).
Una grande creazione per l’étoile scaligera Luciana Savignano,
Luna di
Béjart (1976), è stata il pezzo centrale dello spettacolo, danzato da Martina Dalla Mora, 17 anni dal 7º corso. «La Savignano era una Luna insuperabile […] impastata di furori segreti, sotto la gelida scorza lunare», scriveva Vittoria Ottolenghi nel 1999 (Balletto Oggi 115, feb/mar 1999); dopo Savignano solo Sylvie Guillem lo ha danzato e ha portato Luna al concorso di Varna del 1983. L’interpretazione allora era stata affidata per la prima volta a una ballerina giovanissima, al contrario di Savignano, che danzò già con una grande esperienza alle spalle. Martina ha un corpo stupendo nell’accademico lungo bianco, una padronanza della tecnica ammirabile, linee perfette che quasi ricordano la tanto ammirata Sylvie Guillem — come la stessa allieva ha ammesso in una recente intervista proprio prima dell’interpetazione di Luna. Vorrei consigliare a Martina che la luce della luna non termina alla sua crosta, ma si propaga nell’infinito spazio raggiungendo e illuminando la Terra; così un pittore astratto che dovesse raffigurare la danzatrice, raffigurerebbe linee infinite che proseguono le estremità. Il magnetismo lunare già c’è.
La terza coreografia prevedeva il difficile preziosismo coreutico de
Les Sylphides (chiamato anche
Chopiniana) dei Ballets Russes di Djagilev, l’Art Déco della danza, che nei primi decenni della Belle Époque irradiò ogni forma d’arte. Su una ‘antologia’ di Fryderyk Chopin il coreografo Michail Fokin allestì nel 1909 con Anna Pavlova, Tamara Karsavina e Vaclav Nižinskij il
ballet blanc liberamente ispirato al più antico
La Sylphide (1832, Filippo Taglioni con Maria Taglioni) o
Sylfiden (1836, August Bournoville con Lucile Grahn). Si perde la narrazione del balletto romantico per una sequenza di passi d’insieme del corpo di ballo di silfidi, pas de deux e virtuosistici assoli delle tre soliste e dell’unico danzatore. Gli allievi della Scuola di Ballo della Scala hanno nel complesso saputo gestire le grandi difficoltà della coreografia, gli adagi del Preludio e del famosissimo Notturno nº 2 e gli allegri saltati e girati della Mazurka e del Valzer. Più interessante l’insieme del corpo di ballo nei delicati passaggi incrociati in manège e diagonale. Graziosissima in particolare è stata una solista che ha saputo indossare il degas (il tutù lungo romantico) senza eccessivi svolazzamenti, ma con ruote controllate nei giri e sbuffi delicati nei salti e atterraggi, che davvero davano l’impressione del battito d’ali di farfalla.
Il secondo e ultimo tempo ci ha mostrato la brillante coreografia di George Balanchine
Who cares? (1970) sulle musiche d’avanguardia novecentesca di George Gershwin. Nessuna storia, solo le musiche e la danza. I giovani danzatori dei corsi più avanzati sono riusciti a offrire al pubblico la vitalità tutta americana della rivisitazione ‘in levare’ della tradizione coreutica — per lo più ‘in battere’— ottocentesca, operata da Balanchine nei suoi anni di direzione artistica al New York City Ballet. Il balletto con le sue musiche in parte jazz è in un certo senso precursore del musical, non sembra classico già dal titolo, ma
Who cares? è stato il pezzo che più si adattava all’elemento-scuola. I ragazzi si sono divertiti, nonostante la grande velocità del ritmo e l’impegno mentale e fisico per reggere le coreografie. Particolare menzione per Martina Dalla Mora che ha gestito al meglio un manège difficilissimo, per Mario Genovese che lo spettacolo lo porta dentro e per Domenico Di Cristo, perfetto nel ruolo balanchiniano con bellissimi ports de bras.
Si ringrazia per la concessione delle foto Brescia - Amisano.
Domenico Giuseppe Muscianisi