14/01/2016
Critiques-Autres
Intervista a Jacopo Giarda
Un giovane talento del Teatro dell’Opera di Roma si racconta
E’ un venerdì pomeriggio quando incontro il ventiduenne milanese Jacopo Giarda nella sua casa di Roma in cui vive con la compagna Eugenia Brezzi, anche lei ballerina. Mancano poche ore all’ultima recita de Lo Schiaccianoci di Giuliano Peparini, in cui Jacopo ha avuto modo di distinguersi come talento emergente del Teatro dell’Opera di Roma. Entrato da pochi mesi nel corpo di ballo, ha già interpretato il ruolo di Drosselmeyer e, ben presto, avremo la possibilità di ammirarlo in una delle coreografie simbolo del maestro newyorkese William Forsythe: The Vertiginous Thrill of Exactitude, all’interno della serata dei Grandi Coreografi in scena al Costanzi a fine febbraio.
Un caffè, un comodo divano: Jacopo mi riceve con la consuetudine di chi ha una certa confidenza e, in effetti, è vero. Ci conosciamo da quando entrò al primo corso della Scuola di Ballo della Scala e, in questi anni, ho avuto modo di seguire la sua carriera da vicino. Ecco perché la mia intervista assume fin da subito un sapore particolare: approfondire il suo percorso artistico senza perdere l’autenticità tipica del narrarsi tra amici di lunga data.
Come è nata la passione per la danza?
“Sembra incredibile, ma tutto è iniziato per puro caso. Infatti da piccolo praticavo la ginnastica artistica ed era mia sorella la ballerina di casa; un giorno la sua insegnante, notando in me un potenziale particolare, suggerì a mia madre di iscrivermi a danza. Bastarono poche lezioni e fui subito preso da un entusiasmo infantile: ero felice di ballare ed esaltato dalla musica di sottofondo; in breve tempo mi ritrovai a studiare indistintamente sia classico sia moderno. Successivamente, con la mia famiglia capitò di andare a vedere Il Lago dei Cigni al Teatro degli Arcimboldi. Ricordo perfettamente i tour en l’air del principe e l’effetto che ebbero su di me. Ero emozionato e voglioso di arrivare anche io un giorno a farli su un palcoscenico. Fu esattamente in quell’istante che capii che la danza avrebbe rappresentato la mia scelta. Quello, inoltre, fu il mio primo contatto con il Teatro alla Scala”.
Dagli occhi emozionati di un bimbo che guarda Il Lago dei cigni all’audizione alla Scala il passo è stato breve…
“Si e no. Credo ci sia molta inconsapevolezza in chi affronta questo percorso. A quell’età di certo non mi rendevo conto che quella decisione guidata dall’entusiasmo sarebbe stata così decisiva: un semplice gioco che si trasforma nella scelta di una vita. C’è anche da dire che la mia è una famiglia più di giuristi che di artisti. Tuttavia i miei genitori mi sostennero allora come adesso. Così, sotto la guida della mia insegnante decisi di fare l’audizione alla Scala ignorando di entrare in uno dei templi indiscussi della danza, fui ammesso a 10 anni al primo corso”.
I tuoi genitori sono stati fondamentali. Oltre alla famiglia quali sono stati i tuoi punti di riferimento negli anni trascorsi nella scuola di ballo?
“Tra le persone a cui devo molto c’è sicuramente Amelia Colombini, che mi ha formato nei primi corsi trasmettendomi una rigorosa disciplina ed una educazione ferrea. I suoi insegnamenti sono sempre qui con me, perché mi hanno arricchito non solo come artista ma anche come persona. Ricordo con gratitudine Paolo Podini, con cui ho lavorato nei corsi intermedi e che mi ha insegnato la pulizia e l’eleganza del movimento, nonché la passione da impiegare ogni giorno in ciò che faccio, Emanuela Tagliavia che mi ha seguito nel percorso contemporaneo, Anna Maria Prina che è stata un esempio oltre che una grande direttrice e Frédéric Olivieri.
Non nego siano stati anni estremamente duri, eppure devo molto a quegli insegnanti. A suo modo, ognuno di loro ha saputo trasmetterci oltre alla tecnica anche l’amore per la nostra disciplina, perché senza l’amore la consapevolezza di essere artisti non può maturare”.
Dopo la Scala, hai lavorato per tre anni a Madrid. Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?
“Ho colto i segnali che la vita mi stava dando in quel momento. Il mio ottavo corso fu un anno abbastanza turbolento anche a causa di un infortunio per il quale riuscii a fare soltanto poche audizioni. Durante il diploma ebbi la fortuna di esser notato da José Carlos Martinez che era presente in qualità di commissario esterno. Per questo fui invitato all’audizione della Compañía Nacional de Danza, dove iniziai a lavorare a Settembre dello stesso anno. Lasciare la Scala fu un enorme dispiacere: era diventata ormai una seconda casa”. Immagino che il periodo a Madrid ti abbia arricchito notevolmente.
In particolare, cosa ti hanno lasciato questi tre anni?
“Considero la mia esperienza estera come un vero e proprio regalo: non credo che le cose sarebbero andate nello stesso modo rimanendo a Milano. A Madrid infatti ho potuto cimentarmi in pezzi di repertorio che ritengo siano più compatibili con il mio essere artista. Inoltre, il fatto che la compagnia fosse piccola mi ha permesso di interpretare ruoli importanti pur essendo un neo-diplomato”. Si sa però che la vita del ballerino non è certo costellata di soli successi. C’è stato un momento in cui non ti sei sentito all’altezza? “Mi viene spontaneo ricordare il periodo in cui, a seguito di un intervento subito al piede, non mi sono sentito al pari con i compagni di corso. La verità però è un’altra. Credo che dal punto di vista psicologico un ballerino si senta raramente all’altezza del ruolo o della prestazione richiesta, perchè siamo educati ad inseguire la perfezione dell’espressione e l’esattezza del movimento. Tutto questo da una parte ci spinge a migliorare, ma dall’altra ci rende piuttosto insicuri”.
Dopo la parentesi spagnola, cosa ti ha spinto a ritornare in Italia?
“Ho maturato questa decisione per vari motivi. Dopo tre anni consideravo la mia esperienza conclusa e avevo voglia di rimettermi in gioco in un’altra compagnia. Per un’idea di completezza artistica potremmo dire. La scelta è quindi ricaduta sull’Opera di Roma, appena ho saputo della nomina di Eleonora Abbagnato come direttrice. Il suo impulso innovatore ed i suoi progetti sono gli elementi giusti per dare una scossa alla realtà degli enti lirici italiani”.
Cosa può darti Roma di diverso rispetto a Madrid?
“In primis sicuramente la possibilità di avere un teatro stabile che reputo fondamentale per poter creare un legame con il palcoscenico e con il pubblico. Oltre a questi aspetti anche la possibilità di poter interpretare i grandi classici del repertorio che a Madrid non venivano messi in scena. Pur essendomi trasferito a Roma da pochi mesi, ho già ballato Giselle, Coppelia e Lo Schiaccianoci”.
Quale stile ti si addice maggiormente, uno più classico o contemporaneo?
“La mia indole di ballerino propende principalmente verso uno stile più neoclassico, contemporaneo e ad esser sincero è proprio questo tipo di repertorio che vedo più adatto a me anche negli anni a venire. Uno degli aspetti che più mi entusiasma del mio trasferimento a Roma è proprio il progetto di collaborazioni con quelli che reputo tra i più grandi coreografi moderni come Forsythe, Preljocaj e Wheeldon. In futuro mi farebbe piacere lavorare con con Jiří Kylián”.
Quali sono invece i Balletti che vorresti interpretare in futuro e, soprattutto, che ruolo vorresti per te? “Il ruolo romantico di Armand Duval ne La Dame aux camélias di John Neumeier e vista la mia passione per Forsythe mi piacerebbe ballare Impressing the Czar”.
Cosa fa Jacopo nel suo tempo libero? “Qui a Roma il tempo libero a disposizione è nettamente inferiore rispetto a Madrid, però sono un amante del cinema, mi piace scoprire la città in cui vivo e visitare mostre, non mancano le uscite con gli amici e non appena posso organizzo un viaggio. A marzo sarò a Cuba con la mia compagna e poi chissà”.
Ci siamo conosciuti alla Scala e sei di Milano. Mi viene spontaneo chiederti se alla fine di tutto immagini di ritornare nella tua città?
“Eh, che dire. Non è certamente tra i miei progetti ma sono anche consapevole che questo meraviglioso viaggio è iniziato per caso. Di conseguenza, davanti alle possibilità ho imparato a lasciare la porta almeno socchiusa”.
Si ringrazia per la concessione delle foto Maite Villanueva, Caroline Vasta e per la terza foto terza dello Schiaccianoci di Nureyev al Teatro alla Scala è di Rudy Amisano.
Aldo Sancricca